Audizione del 5 dicembre 2018 presso la Commissione Giustizia
Camera dei Deputati della Repubblica
II Commissione (Giustizia)
Ufficio di Presidenza
CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA
Audizione Atti del Governo n. 53
Le modifiche riguardanti le norme del codice civile – Articoli 2476 (Responsabilità degli Amministratori) e 2486 (Poteri degli Amministratori)
Codice della Crisi art. 377 (Responsabilità degli Amministratori).
La legge delega n. 155 del 2017 richiedeva al Legislatore delegato, di formulare un criterio di liquidazione dei danni conseguenti alla inosservanza da parte degli amministratori sociali dell’obbligo di gestire la società, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, al solo fine di preservare integrità e valore del patrimonio.
Segnatamente l’art. 14 della legge delega rubricato “Modifiche al Codice Civile” alla lettera e) delegava il Governo a prevedere: “” criteri di quantificazione del danno risarcibile nell’azione di responsabilità promossa contro l’organo di amministrazione della società fondata sulla violazione di quanto previsto dall’art. 2486 “”.
L’intervento era richiesto per dirimere, anche in funzione deflattiva, contrasti giurisprudenziali esistenti ma anche per cercare di individuare una regola nella quantificazione del danno in tutti quei casi, nella pratica frequenti, in cui mancano le scritture contabili o le stesse sono tenute in modo irregolare.
Conseguentemente con l’art. 377 del Codice della Crisi rubricato “Responsabilità degli Amministratori”, all’art. 2476 c.c. dopo il quinto comma viene inserito il seguente: “ Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi “.
La norma risulta coerente soprattutto nell’ottica di responsabilizzare, maggiormente, gli amministratori rispetto agli obblighi di conservazione del patrimonio sociale.
Il secondo comma dell’art. 377 del Codice della Crisi prevede che all’art. 2486 del codice civile dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: “ Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’art. 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se mancano le scritture contabili o se a causa della irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella liquidazione giudiziale “.
Questa disposizione sembra meno coerente rispetto alla precedente elaborazione giurisprudenziale che aveva avuto una autorevole “sistemazione” nomofilattica grazie alla sentenza resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 9100 del 6 maggio 2015 estensore Rordorf.
Con questa pronuncia, nel comporre il contrasto interpretativo, le Sezioni Unite della Corte Suprema hanno ritenuto non condivisibile la pretesa di individuare il danno risarcibile nella differenza tra passivo ed attivo patrimoniale accertati in sede fallimentare, e ciò finanche in assenza delle scritture contabili. Per chiarezza espositiva si ritrascrive la massima : “ nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile deve essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento. Nelle predette azioni la mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, di per se sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto.”
Dunque prima di quantificare il danno occorre che sia ben chiaro quale sia il comportamento che si imputa all’amministratore di avere tenuto e quale violazione, tra i molteplici doveri gravanti sul medesimo amministratore, quel comportamento ha integrato.
A ciò si aggiunga che l’inadempimento rilevante nell’ambito delle azioni di responsabilità da risarcimento del danno nelle obbligazioni cosiddette da comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa (o concausa) efficiente del danno di cui si richiede la liquidazione; sicché l’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento qualunque esso sia, ma ad un inadempimento per così dire qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno; anche in questo caso il principio ora ritrascritto è ripreso da altra sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 15781 del 2005) la quale risulta richiamata nella pronunzia n. 9100 del 2015 di cui poco sopra.
Oltre alla allegazione di un inadempimento “qualificato” occorrono gli altri due elementi costitutivi della domanda risarcitoria quali il nesso di causa ed il danno.
Sulla base di questo ragionamento le Sezioni Unite hanno quindi sindacato se la mancanza di scritture contabili della società, (ma lo stesso si può dire per la loro irregolare tenuta) pur se dipendente da una condotta negligente amministrativa, sia da sé sola idonea a consentire che il danno risarcibile vada individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra passivo ed attivo accertati in ambito fallimentare, dandone una risposta sostanzialmente negativa; l’assenza o la irregolare tenuta delle scritture non può, da sé sola, far venir meno non solo uno specifico onere di allegazione in capo a colui che agisce in responsabilità, ma anche e soprattutto il principio della necessità della individuazione di un preciso nesso di causalità tra il comportamento illegittimo di cui il soggetto è chiamato a rispondere e le conseguenze che ne siano derivate nella sfera giuridica altrui.
Che la tenuta delle scritture contabili sia uno dei doveri gravanti sugli amministratori di società è fuori discussione ed è quindi ugualmente indiscutibile che il mancato rinvenimento di tali scritture da parte del curatore del fallimento giustifichi l’allegazione dell’inadempimento di quel dovere da parte dell’amministratore convenuto nell’azione di responsabilità.
Ma in coerenza con i principi generali occorre domandarsi se e quale pregiudizio sia potenzialmente ricollegabile a tale specifica violazione, in termini di danno emergente o di lucro cessante a carico del patrimonio sociale (l’art. 1223 c.c. fissa il contenuto della obbligazione risarcitoria nella perdita subita – c.d. danno emergente – e nel mancato guadagno – c.d. lucro cessante); mi pare di poter sostenere che l’orientamento ormai diffuso nella giurisprudenza della Corte Suprema sia quello di ritenere che l’omessa tenuta della contabilità non può generare la conseguenza che quel pregiudizio si identifichi nella differenza tra il passivo e l’attivo accertati in sede fallimentare.
I principi appena ripercorsi, rispettosi di quelli che regolano la responsabilità civile (artt. 1223, 1225, 1226 e 1227) mi pare che ora possano subire una “compressione” generata dal (nuovo) secondo comma dell’art. 2486 c.c. introdotto dal Codice della Crisi (art. 377) tanto da potersi realizzare, in tal modo, una sorta di (pericoloso) automatismo nel riconoscimento giudiziale della responsabilità che da colposa/dolosa degli esponenti aziendali si trasformerebbe in oggettiva/sanzionatoria avvicinando quella degli amministratori a quella dei soci illimitatamente responsabili.
Il rischio appare tanto maggiore tenuto conto che il nuovo secondo comma dell’art. 2486 c.c. consentirebbe la liquidazione del danno nella misura ora criticata non solo in mancanza delle scritture contabili od in presenza di irregolarità (termine generico) ma anche in presenza di “altre ragioni” (non chiarite) con il che il meccanismo di automatica liquidazione del danno sarebbe suscettibile di ulteriore impropria espansione.
Non a caso la bozza precedente del Codice della crisi nella parte che ora qui interessa disciplinava la fattispecie in maniera meno “sanzionatoria” tanto da così scrivere: “” il danno risarcibile è determinato secondo le disposizioni degli artt. 1223, 1225, 1226 e 1227 c.c. , in quanto compatibili con la natura della responsabilità in relazione al pregiudizio arrecato al patrimonio sociale dai singoli atti compiuti in violazione del dovere previsto dal comma primo. Tuttavia, in caso di scritture contabili mancanti o comunque inattendibili, il danno risarcibile corrisponde alla differenza tra il netto patrimoniale al momento in cui si è verificata la causa di scioglimento della società ed il netto patrimoniale al momento in cui è cessata la prosecuzione indebita dell’attività oppure è aperta la procedura di liquidazione della società, con salvezza della prova contraria, e, in ogni caso, del potere di liquidazione equitativa del danno da parte del giudice “”.
Come si nota, nella previsione normativa originaria, il danno non solo era commisurato al pregiudizio arrecato al patrimonio dal singolo atto reso in violazione del divieto di cui al primo comma dell’art. 2486 c.c. ma il meccanismo presuntivo della liquidazione del danno (in assenza delle scritture contabili) ancorato alla differenza tra i netti patrimoniali rappresentava una metodica quantificatoria (in esecuzione della delega) del tutto residuale e la regola del netto fallimentare (differenza tra attivo e passivo fallimentare) non era assolutamente presa in considerazione.
Nella seconda bozza (definitiva) del Codice della Crisi, l’art. 377, di contro, e come ricordato, detta un meccanismo presuntivo fisso nella liquidazione del danno ancorato alla differenza dei netti patrimoniali realizzandosi in ciò la regola, per poi addirittura giungere, in assenza delle scritture contabili, ad applicare la regola del netto fallimentare (differenza tra attivo e passivo fallimentare).
Il sistema risarcitorio, in tal modo, sembra troppo “rigido” per gli amministratori, ma anche per i sindaci (in caso di omesso controllo da parte di costoro), addebitandosi in tal modo agli ex esponenti, e con una non giustificata inversione dell’onere della prova, che prescinde dal mancato rinvenimento delle scritture contabili, anche quote delle perdite patrimoniali che ben potrebbero già essersi verificate in un momento anteriore al manifestarsi della situazione di crisi in tutta la sua portata.
Si suggerisce allora una normazione che disponga l’applicazione estremamente residuale del criterio del cd. patrimonio netto fallimentare allo scopo di evitare la determinazione di criteri liquidatori arbitrari potendosi giungere a tale quantificazione solo dopo che siano state indicate le ragioni che hanno impedito al curatore attore di poter ricostruire le principali vicende della società fallita proprio come conseguenza della assenza delle scritture contabili; in tale evenienza e dopo la allegazione di tale circostanza il curatore potrà richiedere la applicazione a proprio vantaggio della disposizione di cui all’art. 1226 c.c. se del caso ancorata a quel criterio.
Napoli- Roma, 05.12.2018 Avv. Vincenzo Ruggiero