LA PANDEMIA E LA SORTA DEGLI AFFITTI - Avv. Vincenzo Ruggiero

20 aprile 2020

LA PANDEMIA E LA SORTE DEGLI AFFITTI

 (Avv. Vincenzo Ruggiero)

I commercianti, gli artigiani, i ristoratori, i titolari di centri benessere, i parrucchieri, e poi i cinema ed i teatri e tante altre attività commerciali, insomma le imprese collettive ed individuali che sono state costrette a subire il lock down e la chiusura dei loro esercizi a seguito del Covid 19 come dovranno disciplinare i rapporti con i proprietari dei locali allo interno dei quali esercitano le loro attività?

 

Quali sono i rimedi che i locatori da un lato ed i conduttori dall’altro potranno adoperare per affrontare e risolvere le grandi difficoltà economiche e gestionali che sono nate di pari passo allo esplodere della emergenza sanitaria e che purtroppo, e molto probabilmente, ci accompagneranno per un tempo che ci si augura non troppo lungo ?

 

Partiamo immediatamente dal dato legislativo “extra ordinem” introdotto dal decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 cd. “Cura Italia” in questo momento operante, ma che di certo di qui a poco verrà integrato da ulteriori provvedimenti legislativi emergenziali che si andranno a sommare a quelli, per la verità del tutto insufficienti, attualmente in vigore.

 

Per prima cosa occorrerà tenere a mente quali siano i rapporti contrattuali che rientrano nel perimetro della legislazione emergenziale e quali quelli esclusi ancorando l’inclusione o la esclusione ai provvedimenti, eccezionali, limitativi  della nostra libertà che in questi mesi sono stati promulgati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; si allude ai DPCM dell’ 8 e 9, 22 marzo 2020 poi normativamente ricondotti nel d.l. 17.3.2020.

 

E dunque :

 

a.Locazioni commerciali direttamente investite dal lock down;

 

b.locazioni commerciali escluse dal lock down;

 

c.locazioni abitative.

 

 

Le locazioni di cui alla lett. a. sono quelle investite dal Covid 19 le quali hanno subito la chiusura totale come conseguenza dell’emanazione dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sopra ricordati e ad esse è rivolta la normativa emergenziale (da sola però insufficiente) che dovrà necessariamente allo stato, (in assenza di nuove specifiche norme), esser integrata dagli istituti codicistici previsti dal nostro ordinamento (impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore definitiva e temporanea ex art. 1256 c.c.; eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c. ; riconduzione del contratto ad equità ex art. 1374 c.c. con un tentativo di integrazione del negozio; forza maggiore e factum principis, ed ancora buona fede e correttezza nella esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. e da ultimo sospensione della obbligazione di pagamento) e di cui dopo si offriranno alcune ipotesi applicative.

 

Le locazioni di cui alla lett. b. sono tutte quelle le cui attività per ragioni di emergenza non hanno subito il lock down (supermercati, farmacie, edicole, esercizi commerciali per l’acquisto di generi di prima necessità; - per gli studi professionali le norme, di diverso rango costituzionale, ma anche e soprattutto quelle regionali, sono state tra loro diverse tanto che, per fare un esempio, la Regione Lombardia ha imposto la chiusura degli Studi professionali nel mentre ciò non è avvenuto in Campania) sicchè esse (con le diversità per gli studi professionali) non godrebbero delle disposizioni emergenziali e degli istituti connessi.

 

         Le locazioni abitative essendo caratterizzate dal rispetto del sinallagma contrattuale visto che sussiste il godimento da parte del conduttore del bene oggetto del contratto, appaiono escluse dal perimetro delle disposizioni di cui al d.l. n. 18/2020 e dalle interpretazioni collegate; qualche dubbio potrebbe sorgere con riguardo alle locazioni per studenti disciplinate dall’art. 5 della legge n. 431 del 1998 le quali hanno potuto subire le limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno oltre che di spostamento imposta dai provvedimenti governativi attualmente ancora in atto; i contratti di locazione  transitori per studenti fuori sede ex art. 5 della legge richiamata, potrebbero vedere la prestazione di godimento del bene, da parte del conduttore, compromessa o meglio non realizzata per fatto non imputabile a quest’ultimo; si allude all’articolo 1, comma 1, lett. b), del D.P.C.M. 22 marzo 2020 che stabilisce che chi si è recato presso un’abitazione propria o di terzi in zone meno contagiate del Paese, dal 23 marzo 2020 è impossibilitato a far ritorno nell’immobile locato in città e zone con un più alto tasso di contagiati, se non per le specifiche ragioni giustificative tassativamente individuate dal provvedimento stesso: comprovate esigenze di lavoro, assoluta urgenza e motivi di salute.

 

LA NORMATIVA EMERGENZIALE c.d. lex specialis

 

Le disposizioni introdotte dal d.l. 18/2020 rappresentano una sorta di “minimo presidio” normativo intorno a cui cercare di ricostruire, in assenza di altre disposizioni legislative allo stato non promulgate, un “microsistema” che anche attraverso la interpretazione e poi applicazione dei classici istituti giuridici codicistici, riesca a disciplinare quelli che si spera non diventino conflitti giurisdizionali sistemici tra i proprietari ed i conduttori di locali commerciali; sin da subito ritengo che la ricerca della soluzione transattiva tra le parti, attraverso una

concordata rimodulazione scritta del canone di locazione disciplinata per un determinato periodo,  (da sottoporre a non  obbligata  ma consigliata registrazione) rappresenti la prima strada da battere e ciò non solo in omaggio al principio solidaristico di cui all’art. 2 della Cost. che in questo momento storico deve informare grandemente il nostro agire, ma anche in applicazione dei canoni giuridici della correttezza e della buona fede nella esecuzione del contratto secondo gli artt. 1175 e 1375 del codice civile; a tal fine si è soliti richiamare il concetto di cooperazione reciproca per soddisfare l’uno gli interessi dell’altro. I principi ricordati sempre più spesso guidano l’interprete nella corretta “lettura” del contratto tanto nella fase genetica quanto in quella funzionale ed estintiva. Questo “atteggiamento” dovrà prima di tutto essere immanente in ciascheduno di noi (sia come locatori che come conduttori); in mancanza, il vincolo di cooperazione dovrà essere “veicolato”, con apposita istanza, all’interno delle camere di mediazione ex dlgs. n. 28/2010 le quali saranno obbligatoriamente chiamate ex art. 5 del decreto ricordato, a svolgere una funzione di componimento e quindi (si spera) di deflazione del contenzioso, per poi, in caso di esito negativo, dovranno essere i Tribunali ad esser chiamati, in ultima istanza, a disciplinare il contrasto.

Con riguardo alla normativa emergenziale le disposizioni introdotte dal d.l. n. 18/2020 sono gli articoli 65, 88, 91 e 95:

  1.       L’art. 65 (credito d’imposta per botteghe e negozi), per gli esercenti attività d’impresa, relativamente agli immobili rientranti in categoria catastale C/1 (“negozi e botteghe”), riconosce un credito?d’imposta del 60% per il solo mese di marzo;  la disposizione incide indirettamente sul contratto di locazione senza modificare la prestazione del conduttore consentendo a quest’ultimo di recuperare (non nell'immediato) parte del corrispettivo dovuto al locatore. La norma si colloca ed esaurisce i propri effetti sul piano tributario quando, nell'alleviare la posizione economica del conduttore, presuppone comunque il pieno adempimento dell'obbligazione di pagamento del canone (il principio è chiarito dalla Circolare della Agenzia delle Entrate n. 8/E del 3.4.2020). L’agevolazione è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del Decreto Legislativo 9.7.1997 n. 241.

La disposizione in esame trova applicazione solo con riguardo ai rapporti di locazione ad uso diverso dall’abitazione e, anche in tale ambito, lascia, purtroppo, esclusa una platea considerevole di soggetti.

Non possono, infatti, fruire del predetto beneficio coloro che esercitano una delle attività di cui agli allegati 1 e 2 del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 11.03.2020, ovvero quelle considerate essenziali, per le quali non è stata imposta la sospensione (i.e. farmacie, supermercati, edicole, ecc…) né i soggetti che svolgono un’attività diversa da quella d’impresa, come gli esercenti le arti e le professioni.

È, inoltre, negata la possibilità di usufruire del credito d’imposta per coloro che, pur esercitando un’attività d’impresa, conducono in locazione immobili rientranti in categorie catastali diverse dalla C/1. Si pensi, ad esempio, agli opifici (categoria D1), ai teatri (D3), ai fabbricati adattati a speciali esigenze commerciali (D8).

La previsione normativa è allora, ed allo stato, TOTALMENTE INSUFFICIENTE e se ne auspica la integrazione.

  1.       L’art. 88 che stabilisce il rimborso dei contratti di soggiorno e la risoluzione dei contratti di acquisto di biglietti spettacoli musicali ed altri luoghi di cultura, che richiama espressamente l’applicazione dell’articolo 1462 c.c. (impossibilità totale sopravvenuta della prestazione), in ragione della vigenza del DPCM 8/3/2020; la norma fa generico riferimento ai contratti di soggiorno, classificazione questa di non facile individuazione forse estensibile non solo alle prenotazioni alberghiere ed ai contratti turistici ma anche alle effettuate prenotazioni di “bed and breakfast”; si dispone così e per tali fattispecie l’obbligato rimborso degli acconti versati e la risoluzione del contratto senza penalità. In realtà la vicenda ha un precedente giurisprudenziale autorevole reso dalla Suprema Corte con la sentenza n. 16315 del 2007 legata alla infezione Dengue che si sviluppò a Cuba; in quel caso i contratti per pacchetti turistici vennero dichiarati risolti facendo venir meno l’obbligazione di pagamento in capo al consumatore turista con l’obbligo di restituzione degli acconti da parte dei tour operators.?
  2.       L’art. 91 rubricato “disposizioni in materia di ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazioni del prezzo in materia di contratti pubblici”, espressamente così detta : “”

 

1. All'articolo 3 del decreto -  legge  23  febbraio  2020,  n.  6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: "6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente  decreto  e'  sempre  valutata  ai  fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti  degli  articoli  1218  e 1223 c.c., della responsabilità del  debitore,  anche  relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.".

La previsione ora in parola viene direttamente ad incidere sul rapporto locativo, nella misura in cui attiene, in termini generali, all'adempimento o, meglio, al possibile inadempimento del conduttore.

Cerco di rendere più chiara la lettura della norma.

L’art. 91 del DL 18/2020  introduce una disposizione che nell’intenzione del legislatore, mira a valutare (il termine è da tenere a mente) le ragioni dell’inadempimento qualora lo stesso derivi dal “… rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto …” precisando che tale situazione “ … è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 (responsabilità del debitore) e 1223 (risarcimento del danno) c.c. …” e ciò ANCHE in relazione a “… eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti”.

 

La norma in commento avrebbe una funzione rafforzativa  della disposizione di cui all’art. 1218 c.c. a tenore del quale “ il debitore che non esegue la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Dunque il rispetto della misura di contenimento (che è tradotta nella chiusura degli esercizi e nella limitazione della liberta di circolazione ecc.) attenua l’onere della prova a carico del debitore con riguardo all’elemento che giustifica l’inadempimento a lui non imputabile; si tratta, a ben vedere, di un invito rivolto ai Giudici a prestare particolare attenzione alle ragioni dei debitori in difficoltà economica in questa fase

di grave emergenza potendosi giungere, se bene intesa la norma, ad escludere  la  morosità nel pagamento dei canoni, relativamente al periodo corrispondente  al e “nel rispetto delle misure di contenimento”, ossia fintanto che rimanga il lock down per le attività coinvolte; l’articolo 91 del DL 18/20, parrebbe escludere lo stato di inadempimento e gli effetti della mora, prevedendo un “congelamento” dei pagamenti dei canoni, in linea con l’intera ratio del provvedimento emergenziale di “aiuto alle famiglie ed alle imprese”.

In questo ambito sarei del parere che l’Autorità giudiziaria non possa emettere provvedimenti di convalida di sfratto per morosità a seguito del mancato pagamento dei canoni di locazione temporalmente collegati al periodo di “rispetto della misure di contenimento”, essendo assente l’inadempimento del conduttore ex articolo 91 DL 18/2020; parimenti, non potranno essere emesse ordinanze provvisorie di rilascio ex art. 665 cpc, sussistendo “i gravi motivi” (art. 665 , comma 1° cpc), collegati al DL 18/2020 e, demandandosi quindi al successivo giudizio di merito, in esito all’opposizione alla convalida, ogni questione riguardante la risoluzione del rapporto commerciale, l’ammontare del “giusto corrispettivo” ed ogni quaestio iuris solutoria attinente la conservazione o meno del contratto, ferma la parentesi di mediaconciliazione, come sopra ricordato, che obbligatoriamente dovrà essere instaurata all’esito della trasformazione del rito, in ciò applicandosi a pena di improcedibilità della domanda l’art. 5 del Dlgs 28/10.

 

Ancora e con riguardo al profilo procedurale, il Decreto Cura Italia si occupa anche delle esecuzioni coattive di rilascio degli immobili, disponendone un temporaneo differimento delle stesse; viene, infatti, sospesa fino al 30.6.2020 l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, sia ad uso abitativo che diverso.

La disposizione, in punto di fatto, va ad incidere anche sulle situazioni di morosità maturatesi in epoca antecedente l’attuale emergenza sanitaria, per le quali era già stato emesso un provvedimento di rilascio, che però e salvo proroghe, potrà essere eseguito solo a far data dal prossimo 1 luglio 2020.

Sono del convincimento che queste disposizioni dovranno essere integrate probabilmente già con il prossimo decreto di aprile, e ciò tenuto conto della loro insufficienza rispetto alla crisi emergenziale come tutt’ora ancora in atto.

  1.       L’art. 95 rubricato “sospensione versamento canoni per il settore sportivo” di affitto per federazioni, società associazioni sportive per concessione affidamento impianti sportivi pubblici e di enti territoriali. ?

Il Decreto Cura Italia prevede lapossibilità di sospendere il versamento del canone di locazione, sino al 31.5.2020, solo per le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva, le società e le associazioni sportive, professionistiche e dilettantistiche, con riguardo all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali. In tali ipotesi, i versamenti dei canoni maturati dovranno essere effettuati, senza applicazione di sanzioni ed interessi, in un’unica soluzione entro il 30.6.2020, ovvero mediante rateizzazione, fino ad un massimo di 5 rate mensili di pari importo, a decorrere dal predetto mese.

La disposizione in commento lascia trasparire che la normativa emergenziale, consente la sospensione legislativamente prevista in maniera espressa, solo

 

allorquando gli impianti oggetto di locazione siano in proprietà dello Stato od ad Enti territoriali.

 

A fronte di tale (scarna) legislazione emergenziale, la quale, si ripete, dovrà di certo essere ulteriormente implementata, l’interprete è chiamato a ricercare soluzioni ai contrasti già emergenti, servendosi del classico armamentario contenuto nella disciplina dei contratti che dovrà essere “piegata” alle esigenze del momento.

Sarà possibile allora, per il conduttore, diverso da una associazione sportiva, sospendere integralmente il pagamento del canone di locazione ad uso commerciale e per quanto tempo ?

Potrà il conduttore ottenere una rinegoziazione forzosa del canone di locazione in misura ridotta rispetto a quella originaria tenuto conto che gli effetti negativi della pandemia permarranno e saranno devastanti e recessivi anche successivamente alla riapertura e per un tempo che nessuno allo stato conosce?

Ed i canoni impagati durante il periodo “Covid 19” saranno estinti o solo posticipati nel pagamento?

La norma emergenziale codificherebbe ex art. 91 d.l. 18/2020 una fattispecie di impossibilità temporanea della prestazione per causa non imputabile al debitore che per altro trova  un precedente nel d.lgs. del 9 ottobre 2002 n. 231, in tema di ritardi nei pagamenti nelle operazioni commerciali dove l’art. 3 della legge in parola esclude la debenza degli interessi moratori ove «il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

 

Ma la normativa in commento non risolve i problemi atteso che il d.l. n. 18 nel prendere in considerazione il profilo del mancato o ritardato pagamento del canone locativo, ha disciplinato solo quel momento contingente, mentre ha lasciato impregiudicati e non regolamentati gli effetti che la pandemia e la crisi economica avrà sulle locazioni commerciali.

In altre parole la crisi economica collegata anche agli obblighi di distanziamento che continueranno ad essere imposti, (penso agli effetti che ciò produrrà con riguardo ai  ristoranti, ai bar ai parrucchieri, ai cinema, ai teatri i quali, a quanto pare, saranno gli ultimi a poter riaprire) cumulate con le minori risorse economiche che circoleranno di certo fortemente inciderà su moltissimi esercizi commerciali che dunque saranno molto più penalizzati; questo aspetto va ben oltre la questione del mancato pagamento del canone durante la fase di lock down ed intercetta il diverso profilo della disciplina (ex novo) dell’intero rapporto locativo che dunque dovrà pur trovare un proprio assetto.

Ed allora quali gli strumenti? Quale la  disciplina? E soprattutto quale potrà essere il giusto contemperamento tra l’interesse del proprietario di ottenere il pagamento del canone e quello del conduttore a mantenere la detenzione del cespite a condizioni economiche però per lui più vantaggiose rispetto a quelle originariamente concordate?

 

I RIMEDI CONTENUTI NELLA LEGGE SULLE LOCAZIONI E QUELLI CODICISTICI.

Il recesso.

La prima ipotesi trova fonte nella legge sulle locazioni e consente al conduttore il recesso dal contratto ex art. 7 comma 8 della l. n. 392 del 1978 indipendentemente dalle previsioni contrattuali ed a prescindere da una esplicita previsione al riguardo e «quando ricorrano gravi motivi»; si tratta di una risposta possibile, immediata (di certo fondata, tenuto conto della assoluta non prevedibilità della pandemia e dunque connessa a fattori estranei alla volontà del conduttore tali da sovvertire l’originario assetto di interessi dedotti in contratto cfr. Cass. SS.UU. 19.12.2014, n. 26892)) ma obiettivamente inadeguata a rispondere all'emergenza, giacché segna la fine del rapporto contrattuale e forse anche dell'attività commerciale.

 

Il conduttore sarebbe in ogni caso tenuto a rendere il preavviso di sei mesi che dunque rimarrebbe quello contrattuale con i connessi obblighi economici connessi al pagamento del canone.  Per di più il conduttore, a seguito dell’operato recesso per “gravi motivi” sarebbe esposto alla perdita della indennità di avviamento pari a 18 mensilità dell’ultimo canone od a 21 se trattasi di locazione alberghiera.

Con riguardo all’obbligato rispetto del termine di preavviso di cui all’art. 7 l. 392/78 con i connessi obblighi contrattuali di pagamento del canone (ferma la fase di sospensione ex art. 91 d.l. 18/2020) qualche Autore sosterrebbe, forzando il dato normativo,  la applicabilità alla fattispecie dell’art. 79 l. 392/78 il quale sancisce la nullità di quelle clausole che rechino un vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge 392/78 cosicchè, la pandemia “COVID 19” dovrebbe indurre il Giudice chiamato a risolvere il contrasto ad applicare il meccanismo analogo a quello di riduzione della penale ex art. 1384 c.c. eccessivamente onerosa attraverso un intervento di “equità correttiva”.

In altre parole l’evento straordinario che purtroppo la intera umanità sta vivendo, consentirebbe, secondo questa teorica, di ridurre per mano giudiziale il quantum economico corrispondente al preavviso dovuto.  

 

Impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1464 c.c.).

Si è già accennato che la emergenza Covid 19 a cui sono seguiti i connessi provvedimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri di chiusura degli esercizi commerciali e limitazione della circolazione proprio perché straordinaria ed imprevedibile potrebbe consentire l’applicazione dei rimedi codicistici della impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 e 1464 c.c.) che dunque rappresenterebbe la seconda ipotesi ricostruttiva ; i provvedimenti di chiusura disposti dal Governo integrano il factum principis idonei ad escludere l’imputabilità dell’inadempimento e tali da giustificare la sospensione nel pagamento del canone di locazione per la durata corrispondente ai periodi di chiusura. 

In realtà ci si chiede se non solo sia giuridicamente giustificabile la sospensione ma se si possa giungere a consentire la estinzione o comunque la riduzione della obbligazione di pagamento da parte del conduttore per il periodo in cui il locale non sia stato utilizzato per fatto non imputabile al conduttore (e per la verità nemmeno al locatore).

Un precedente giurisprudenziale della Corte di Cassazione “esportabile” anche nel nostro caso potrebbe essere dato dalla sentenza della Corte Suprema del 27 febbraio 2004 n. 3991 ove è stato affermato, in tema di temporanea inidoneità dell’immobile all’uso consentito, anche per fatto non imputabile al locatore (fattispecie di infiltrazioni copiose di acque) di ottenere una riduzione del canone a causa dei limiti

esistenti al pieno godimento del bene come contrattualmente previsto trattandosi appunto di un contratto avente natura commutativa.

 

Ritornando al nostro caso (pandemia), ancorché l’immobile sia, almeno teoricamente, in condizioni tali da poter essere utilizzato, ed ancorché il conduttore ne abbia la materiale disponibilità, quest’ultimo non potrà ovviamente goderne per tutto il periodo di vigenza del lock down. Come per tutti i contratti a esecuzione continuata e periodica (tra cui rientra la locazione), l’impossibilità temporanea potrebbe assumere quindi i connotati di una impossibilità parziale, con la conseguenza che il conduttore che non abbia interesse a recedere dal contratto (confidando in una ripresa della propria attività), o non possa farlo (ad es. perché nel contratto è stato escluso il recesso per gravi motivi), avrebbe diritto di ottenere una “corrispondente” riduzione del canone di locazione.

 

Nel caso del Corona virus si tratterebbe, in ogni caso, di una impossibilità parziale sopravvenuta che, come detto, non avrebbe i caratteri della definitività.

 

 

Eccessiva onerosità.

La terza ipotesi è quella della eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c. secondo cui se la prestazione di una delle parti (in questo caso quella in capo al conduttore nel pagamento del canone) è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto con gli effetti stabiliti dall’art. 1458 c.c. ( nel senso che essa avrà efficacia ex tunc eccezione fatta per i contratti ad esecuzione continuata o periodica come le locazioni ove la risoluzione non produrrà effetti con riguardo ai canoni già corrisposti) ; la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

In altre parole se la parte nei confronti della quale viene domandata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta volesse evitare lo scioglimento del contratto, potrà offrire alla controparte di modificare “equamente” le condizioni dello stesso, secondo una valutazione di buona fede che riequilibri il rapporto contrattuale.

Anche in questo caso il rimedio, con riguardo alla vicenda Covid, non pare apprezzabile, eccezion fatta per il caso in cui il conduttore ritenesse di non avere più interesse alla prosecuzione del rapporto; in questo caso egli potrebbe attivare l’indicato meccanismo di cui all’art. 1467 c,.c. allo scopo di evitare il pagamento dei canoni corrispondenti al preavviso ex art. 7 l. 392 del 1978 obbligatoriamente da versare in presenza di un recesso esercitato per giustificato motivo.      

Fuori da questa ipotesi non mi pare allora che il conduttore possa adoperare l’istituto in maniera fruttuosa atteso che egli non avrebbe certezza nell’ottenimento della riduzione equa del canone di locazione da parte del proprietario il quale, invero, in presenza di una domanda di risoluzione introdotta dal conduttore, strumentale alla rideterminazione in minus del  canone potrebbe vedersi accettata la domanda di risoluzione senza dunque offrire la modifica delle condizioni economiche del contratto, cosicchè il conduttore avrebbe in tal modo, purtroppo per lui, ottenuto un doppio danno.  

 

 

E’ discusso se il contraente convenuto nel giudizio di risoluzione che intenda evitare lo scioglimento del contratto, abbia l’onere di formulare una specifica offerta di riduzione ad equità, oppure possa limitarsi a dare atto di tale propria disponibilità. In taluni casi, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la possibilità di un intervento giudiziale nella revisione, ad esempio, del corrispettivo contrattuale stabilito dalle parti, o nella determinazione del contenuto delle modifiche da apportare al contratto per ricondurlo ad equità, purché tale iniziativa sia stata sollecitata dalla parte interessata, e comunque avvenga sulla base degli elementi acquisiti al processo.

 

È importante sottolineare che, a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di impossibilità sopravvenuta (in cui l’obbligazione si estingue automaticamente), nel caso di eccessiva onerosità sopravvenuta la parte la cui prestazione divenga eccessivamente onerosa non è automaticamente esonerata dall’adempimento, ovvero legittimata a sospendere l’esecuzione della propria prestazione, ma, per poter essere liberata dalla propria obbligazione e non incorrere in responsabilità per inadempimento, dovrà agire in giudizio per richiedere la risoluzione del contratto. Anche questo aspetto fortemente limita l’applicabilità dell’istituto con riguardo alla emergenza pandemia tenuto conto dell’interesse del conduttore a mantenere in esecuzione il contratto seppur a diverse condizioni.   

 

Exceptio inadimpleti.

 

Resta comunque fermo il principio generale del nostro ordinamento (quarta ipotesi) secondo cui la parte che non abbia ricevuto la (contro) prestazione ad essa spettante potrà sospendere la prestazione cui essa è tenuta avvalendosi dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 codice civile. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’eccezione di inadempimento “prescinde dalla responsabilità della controparte” e può essere azionata anche quando “il mancato adempimento della prestazione dipende dalla sopravvenuta relativa impossibilità per causa non imputabile al debitore” (in questo caso del locatore) cfr. Cass n. 21973 del 2007 .

 

         La rinegoziazione.

 

In assenza di specifici rimedi indicati all’interno dei contratti, quali ad esempio le  clausole di “hardship”, previste soprattutto allo interno dei contratti internazionali e funzionali a fronteggiare situazioni straordinarie ed imprevedibili demandando ad un terzo “arbitratore” la rideterminazione del corrispettivo cui le parti sarebbero obbligate e vincolate nella accettazione, previsioni queste che difficilmente sono rinvenute nei contratti di locazione, si potrebbe sostenere che comunque sia possibile, facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico e, in particolare, alla clausola generale della buona fede (articoli 1366 e 1375 del codice civile) e al principio di equità integrativa (articolo 1374 del codice civile), sostenere che sussista un diritto della parte che subisce eventi sopravvenuti di rinegoziare i termini del contratto, e, ovviamente, per l’altra parte un obbligo, fondato sul dovere di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, di acconsentire alla rinegoziazione. L’obbligo di rinegoziare, in sostanza, comporterebbe il dovere, in presenza di determinati presupposti, di aderire all’invito a rinegoziare accettando le modifiche proposte o proponendo soluzioni che, nel rispetto dell’economia del contratto e tenuto conto della propria convenienza

 

economica, permettano di riequilibrare il rapporto negoziale. Naturalmente, l’esito negativo di questa attività di rinegoziazione non potrebbe costituire in sé e per sé un inadempimento all’obbligo di rinegoziare. Un inadempimento potrebbe configurarsi solo in caso di rifiuto assoluto ed ingiustificato a negoziare, così come in quei casi in cui una parte si dichiari solo apparentemente disposta a negoziare (rinegoziazione c.d. maliziosa), senza tuttavia avere alcuna reale intenzione di riconsiderare i termini dell’accordo.

 

In realtà in caso di rifiuto assoluto alla rinegoziazione ad opera delle parti non pare, allo stato, che si possa consentire al Giudice di sovrapporsi alla volontà contrattuale determinando, ex auctoritate il contenuto della “nuova”obbligazione (nel nostro caso il nuovo canone).   

Nell’ordinamento civilistico attuale, se non erro, le ipotesi di intervento giudiziale rappresentano davvero l’eccezione; penso alla fattispecie di cui all’art. 1660 c.c. secondo cui “ se per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte è necessario apportare variazioni al progetto e le parti non si accordano, spetta al Giudice di determinare  le variazioni da introdurre e le correlative variazioni del prezzo “. E’ questa, mi pare, la fattispecie più vicina al caso che ora si sta indagando, ma che non mi sembra si possa applicare in via analogica. L’altra ipotesi ricostruttiva, trova aggancio nell’art. 1384 c.c. che consente al Giudice, come sopra ricordato, di intervenire all’interno del regolamento contrattuale, riducendo l’importo della penale (integrazione cogente) in maniera equa qualora la obbligazione principale sia stata eseguita in parte oppure se l’ammontare della stessa sia manifestamente eccessiva (cfr. Cass. SS.UU. Cass. civ., Sez. Unite, 13 settembre 2005, n. 18128).

 Si tratta però, ed anche in questo caso, di una previsione normativa che regolamenta una fattispecie specifica, e che non può essere ripresa ed adoperata in un ambito diverso.

 

Resta, a questo punto, come quinta ed ultima ipotesi di lavoro, la possibilità di servirsi dell’art. 1374 c.c., che individua quali fonti integrative del contratto, non solo la legge, non solo gli usi ma anche l’equità.

Recentemente la dottrina (cfr.   FRANZONI, Commento sub art. 1374 e sub art. 1375, in Degli effetti del contratto, vol. II – Integrazione del contratto. Suoi effetti reali e obbligatori, in Il Codice Civile. Commentario fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, ed. II, Milano, Giuffrè, 2013, p. 172) ha incluso all’interno di questo elenco anche l’istituto della buona fede di cui all’art. 1375 c.c.  (Così anche Relazione Telematica della Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo, 10 settembre 2010, n. 116, Buona fede come fonte di integrazione dello statuto negoziale: Il ruolo del giudice nel governo del contratto, p. 5. leggi tutto su MAGISTRATURAINDIPENDENTE.IT: https://www.magistraturaindipendente.it/buona-fede-integrativa-e-potere-correttivo-del-giudice.htm).

 

Ma soprattutto  si rinvia a Cass. civ., sez. III, 9 marzo 1991, n. 2503 e conformemente anche Cass. civ., sez. I, 22 maggio 1997, n. 15669 le quali hanno chiarito che : «non può farsi a meno di ricordare come la buona fede operi non solo in sede d’interpretazione ed esecuzione del contratto, a norma degli artt. 1366 e 1375 c.c., ma anche quale fonte d’integrazione della stessa regolamentazione contrattuale, secondo quel che si desume dall’art. 1374 c.c.» (cfr. ancora Cass. civ., sez. I, 20 aprile 1994, n. 3775).

 

Una ricaduta pragmatica di tali principi giuridici è data dall’interessante arresto giurisprudenziale reso dal Trib. di Teviso, con sentenza n. 1956/2018 in www.magistraturaindipendente che ha “rimodulato” all’interno di un contratto il quantum della obbligazione di pagamento, intervenendo e “riscrivendo” una parte del sinallagma, così motivando “l’intervento ortopedico” : << Deve ritenersi, pertanto, che sia immanente al nostro ordinamento un principio secondo cui, pur nel rispetto dell’art. 1322 cod. civ., viene attribuito al giudice un potere di controllo sulle pattuizioni delle parti, nell’interesse generale dell’ordinamento, al fine di evitare che l’autonomia contrattuale travalichi i limiti entro cui appare meritevole di tutela. Tale intervento, pertanto, si pone quale limite all’autonomia negoziale stessa, prevista dalla legge non nell’interesse individuale dei paciscenti ma nell’interesse generale dell’ordinamento all’equità contrattuale. Tale impostazione, inoltre viene avvalorata dall’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale in tema di clausola generale di buona fede nell’adempimento del contratto. Infatti, la buona fede deve ritenersi si specifichi nell’obbligo di entrambe le parti di salvaguardare l’utilità della controparte nel limite dell’apprezzabile sacrificio. La buona fede, pertanto, si concreta in una duplice direzione, ossia nei confronti del creditore fa sì che gli sia vietato di abusare del suo diritto e, allo stesso tempo lo obbliga ad attivarsi per evitare o contenere gli imprevisti aggravi della prestazione o le conseguenze dell’inadempimento. Dunque, il rapporto obbligatorio è caratterizzato da una struttura complessa in quanto il principio di correttezza si pone come fonte di doveri ulteriori che vincolano le parti ancorché non risultino dal titolo del rapporto obbligatorio. >>.

 

L’integrazione del contratto, anche da parte del Giudice, (negata per la verità da 18 ROPPO, Il contratto, ed. II, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, Giuffrè, 2011., p. 464) non può più ritenersi allora un tabù ed una vietata intrusione nel contratto predisposto dalle parti ma va ricondotto, ben inteso in maniera prudente e calibrata, ed in presenza di determinate fattispecie, a un riequilibrio del negozio, a tutela dell’ordinamento e delle parti stesse.

I veloci e spesso violenti mutamenti della società e dei mercati con i connessi abusi in danno delle parti deboli, sta facendo comprendere come il totem dell’autonomia privata non sia più da sola sufficiente a garantire una giustizia sostanziale del contratto.

 

Forse, ed in attesa della Revisione del codice dei contratti (d.d.l. senato n. 1151  30.7.2019 – “le rinegoziazioni dei contratti secondo buona fede per cause eccezionali ed imprevedibili”)  questa potrebbe essere la strada.

 

                                                                         Avv. Vincenzo Ruggiero  

 

 

Ogni diritto riservato.

 

Napoli il 16 aprile 2020

 

 

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